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Tra Stato e paraStato, dal fascismo ai giorni nostri, la storia del turismo italiano è riassumibile in una sola parola, ricorrente e ricorsiva: carrozzone. Un grosso rimorchio, spiega il dizionario, che fa da abitazione a uno spettacolo circense viaggiante.

Nella storia turistica del nostro Paese, tuttavia, lo spettacolo da circo (nonostante i maligni possano pensare alla presenza di pagliacci) raramente è stato di gradimento per gli operatori di settore.

Soprattutto negli ultimi anni – con l’affermarsi delle tecnologie digitali e la concomitante perdita di posizioni del nostro sistema turistico rispetto ai competitor – si sta infatti assistendo a una quotidiana presa di posizione critica da parte di chi nel turismo ci lavora senza poter o voler dipendere dagli enti pubblici. E il motivo è che “si sa, tutto è Polis, forse alcuni non se ne accorgono ma si fa politica, o la si subisce, anche andando al ristorante o parlando bene di un posto invece che di una altro”.

Sul magazine “Mondointasca.org” è stata pubblicata oggi un’amara, ancorché ironica, riflessione di Gian Paolo Bonomi. Il titolo del suo intervento, che riprende lo slogan di una vecchia pubblicità, è “Turismo? Ahi Ahi Ahi”, e in esso Bonomi affronta proprio la questione di due carrozzoni storici del nostro sistema turistico basato sul labile confine (se non proprio oltre) tra quelli che definisce Stato e paraStato. I due carrozzoni a cui si fa riferimento sono la Cit (Compagnia Italiana Turismo) e la nota compagnia di bandiera Alitalia.

Sulla Cit, ai primi di ottobre è arrivata una sentenza di primo grado del Tribunale di Milano: fallita nel 2006, la società pubblica fondata da Mussolini è costata una condanna di 18 anni al manager Gandolfi, accusato insieme ad altri di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta. Di Alitalia, invece, sono piuttosto note le ultime vicende, con l’intervento di Poste Italiane per scongiurare appunto il fallimento.

“Solo che un bel giorno, nonostante giocasse in casa e oltretutto non avesse bisogno (garantendo per lei lo Stato sovrano) di andare settimanalmente a lisciare il direttore di banca affinché non ti togliesse il fido, la CIT fallì. E siccome (un classico nelle vicende del paraStato) si parlò di un salvataggio del sullodato carrozzone al costo di circa 1400 lire (un espresso al bar) a cranio di ogni cittadino italiano, eccomi a scrivere per la allora amata dis-Guida Viaggi del mè compianto amìs Bertagni (senior) un articolo titolato ‘Offrire un caffè alla Cit? Mai!’.” scrive Bonomi. Che sul vettore aereo nazionale racconta: “E quanto a (mamma) Alitalia, che dire? Parafrasando il Bobby Solo sarebbe il caso di farci  scendere una Lacrima sul Viso pensando a quanto la (ex) compagnia di Bandiera si è ciucciata nei 67 ultimi anni di storia patria. Pure essa paraStato (stavolta trasportatore invece che pasticcere) vai coi ripianamenti, ripianamenti, ripianamenti, roba da tirar su un grattacielo”. Per poi chiedersi: “ma quei Paesi senza una compagnia sbandierante la Bandiera nazionale, e ce ne sono tanti, e tutti civili – Iberia, ad esempio, in pratica non è più spagnola, e la Klm è ancora olandese o è diventata francese? - che dovrebbero fare? harakiri?”.

 

Occuparsi di turismo in modo serio rischia di generare polemiche, laddove si lamentano vicende turistiche presenti e passate del nostrano paraStato. Due casi di ieri e di oggi: CIT, Compagnia Italiana Turismo, e Alitalia

Non senza chiedere scusa per l’insistenza mi affretto a informare la cortese aficiòn lettrice che questa è l’ultima delle tre puntate dedicate al Turismo. Oltretutto esamino (e condanno) un Turismo serioso (per questo scusomi) per via degli scabrosi argomenti trattati (d’altro canto un magazine turistico mica può sempre, solo e soltanto, descrivere belle gite, dire dove mangiare e dove dormire, cosa comprare, e vai con gli altri consumismi, sai che noia, eppoi, che poco edificante fuga dalla realtà, dalle vicende quotidiane).

Un Turismo più serioso non meno che pericoloso in quanto potenziale generatore di polemiche

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