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Tra scioperi e chiusure, monta la polemica intorno a uno dei luoghi simbolo del nostro Paese. Ecco che cosa è successo, ed ecco che cosa potrebbe succedere

 

Scioperi, chiusure, Protezione Civile, proteste, turisti al sole, vertenze sindacali e dichiarazioni di fuoco: ci sono tutti gli ingredienti per il classico tormentone estivo. Peccato però che questo tormentone non ruoti intorno a una canzoncina dal ritornello contagioso, ma intorno a quello che può essere considerato il Monumento per antonomasia: il Colosseo, altrimenti noto come Anfiteatro Flavio.

Un luogo che dire simbolico è dire poco, ma soprattutto un polo d’attrazione turistica mondiale con pochi eguali. Eppure, a quanto pare, il Colosseo ha dovuto subire dei tagli che non riguardano il suo celebre profilo, ma che vanno a incidere sull’apertura al pubblico di un monumento capace di portare nelle casse pubbliche qualcosa come 36 milioni di euro all’anno.

 

CHE COSA È SUCCESSO? L'Anfiteatro Flavio è rimasto chiuso una prima volta giovedì scorso, dalle 8.30 alle 12, per un'assemblea sindacale convocata da diverse sigle sindacali, e la serrata si è ripetuta domenica dalle 9 alle 11. Per spiegare cosa comportano queste chiusure in termini economici sono stati diffusi alcuni numeri relativi alla mattinata di domenica: tra le 8.30 e le 11 era previsto l’ingresso di circa 4.000 persone (era un giorno festivo, inoltre vi era la concomitante chiusura normale dei Musei Vaticani): in pratica, in due ore e mezza erano prenotati ieri ottanta gruppi, ognuno dei quali di quaranta persone. Complessivamente 3200 biglietti per un incasso potenziale di 39.000 euro.

A ciò si aggiunge il fatto che, come fanno notare dagli uffici del monumento, con l’ingresso del pubblico si attivano tutta una serie di servizi aggiuntivi che rappresentano un’ulteriore risorsa per il monumento, dalle visite guidate alle audioguide fino alle videoguide. Perdite collaterali che fanno salire il conto totale del danno subito dal Colosseo, che con i suoi 14.000 visitatori al giorno di media mantiene da solo tutto il sistema museale della Soprintendenza speciale archeologica di Roma.

 

I MOTIVI DELLA CHIUSURA Ma perché il Colosseo è rimasto chiuso? Che cosa ha spinto i sindacati a indire uno sciopero che ha causato già due chiusure, e che rischia di provocare un’altra serrata venerdì prossimo?

Per spiegarlo è necessario tornare indietro al 20 giugno, quando i lavoratori, capitanati dagli autonomi del Flp, hanno protestato per il mancato pagamento dello stipendio e per l’impossibilità di coprire i turni con un organico di solo 41 dipendenti. “Da almeno 12 anni governo e parlamento sanno che il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego avrebbe creato problemi, tra il 1998 e il 2009 i visitatori dei siti archeologici romani sono passati da 2 a 5 milioni, mentre il personale è sceso da 810 a 690 unità” sostiene una fonte del Mibac.

Il titolare del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, Massimo Bray,  ha quindi convocato i sindacati per l’8 luglio, ma la soluzione non appare agevole.  Sono stati infatti sbloccati i fondi per pagare le retribuzioni straordinarie arretrate, causa primaria delle agitazioni. Ma i sindacati non sono ancora soddisfatti: “Il pagamento del salario accessorio è stato avviato ma su alcune richieste come le nuove assunzioni non c’è margine a causa della situazione economica” spiega il segretario generale del ministero Antonia Pasqua Recchia. Tra i motivi della protesta, infatti, non c’è solo il pagamento degli straordinari arretrati: c’è il blocco delle assunzioni e la mancata registrazione dell'accordo sull'aumento dei turni festivi da parte del ministero dell'Economia. E c’è un'altra vertenza sindacale in atto con la Soprintendenza Speciale ai Beni Archeologici, che riguarda l'utilizzo improprio di 70 addetti a vigilanza e accoglienza e il conseguente ricorso a una società di vigilanza privata. Valentina Di Stefano, segretaria Cisl beni culturali, spiega “La mobilitazione per noi continua perché restano aperte le questioni della carenza del personale e del superamento del 30% dei festivi”.

 

LE PROTESTE E LA PROTEZIONE CIVILE Intanto, a pagare (anzi a non pagare) sono i turisti, che già due volte si sono trovati ad affrontare lunghe code sotto il sole, con il neo sindaco capitolino, Ignazio Marino, che ha mandato davanti ai cancelli la Protezione Civile, per distribuire l’acqua ai turisti assetati (non solo di cultura).

La protesta ha provocato anche le reazioni delle associazioni del turismo: “Era già molto grave quanto successo giovedì scorso, ma la nuova chiusura del Colosseo avvenuta questa mattina rappresenta per il nostro Paese un danno d'immagine ancora peggiore e non più tollerabile: a nome di Roma e di tutta l'Italia chiediamo a questo punto con forza che intervenga subito il Ministro del Turismo Bray” hanno dichiarato in una nota il presidente di Confcommercio e Federalberghi Roma. Mentre il presidente di Federalberghi, il senatore Bernabò Bocca, ha inviato una lettera al ministro Bray: “Il risalto che i media internazionali danno alla vicenda è tale da compromettere ulteriormente l'immagine della cultura e del turismo italiano e numerosi tour operator si sono già rivolti alle strutture alberghiere per chiedere chiarimenti sulla vicenda e preannunciare la rinegoziazione dei contratti in essere”. Bocca ha poi aggiunto: “Rispettiamo i diritti dei lavoratori, ma quelli dei cittadini e dei turisti non sono meno importanti. Confidiamo pertanto in un intervento urgente del ministro Bray per impedire che i turisti vengano maltrattati e che l'Italia venga esposta ad un grave danno di immagine. In un Paese come l'Italia, le attività a servizio dei turisti devono essere considerate servizio pubblico essenziale”.

 

BRAY SI DIFENDE Per spiegare la propria posizione, il ministro Bray ha quindi rilasciato un’intervista al quotidiano La Repubblica. “Il Colosseo non resterà mai più chiuso. Non può più accadere” ha detto Bray.

“Più il ministero sarà una macchina efficiente, più il ministro avrà accesso rapido alle notizie, anche dalla periferia” sostiene il titolare del Mibac. Ma per l’efficienza servono le risorse, e Bray non si nasconde: “Arrivato al ministero, ho trovato 8 mila bollette non pagate per un totale di 40 milioni di euro. Per le emergenze così frequenti in Italia, il fondo è passato da 87 milioni del 2007 ai 27 milioni del 2013. E il programma ordinario dei lavoro pubblici – quello con cui facciamo la tutela del territorio – è precipitato da 200 milioni del 2006 ai 47 milioni del 2013. Questo è il bilancio che ereditiamo. Ora mi aspetto che si trovino ben altre risorse”.

“Sono convinto che il premier Letta voglia mettere al centro del programma di governo l'emergenza culturale. Mi ha anche chiesto di preparare un piano di lavoro” assicura quindi il ministro, che spiega come di fronte a un possibile mancato rilascio di fondi da parte del Governo lui non si dimetterebbe: “Più che di atti individuali, il paese ha bisogno di fare sistema. Le attese dei cittadini sono enormi, e le classi dirigenti hanno l'obbligo di non ignorarle”. Già, le attese dei cittadini: bisognerà trovare una soluzione che li soddisfi tutti, quelli che al Colosseo ci vanno come visitatori e quelli che ci vanno come lavoratori.

Non resta che aspettare: d’altronde, il Colosseo è lì da tanto di quel tempo...

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