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È della scorsa settimana la notizia che una ragazza di San Francisco, dopo aver affittato il suo appartamento attraverso il sito di condivisione di case Airbnb, se l’è ritrovato sottosopra che neanche Dorothy la casa del Kansas dopo l’atterraggio a Oz.

La colpa è di qualche troll turista che, invece che elevare il proprio spirito godendosi i saliscendi della metropoli californiana tra il Golden Gate e la libreria City Light, ha preferito sollazzarsi distruggendo la casa della generosa host, come i due fulminati di "Paura e Delirio a Las Vegas".

 

Emanuele Menietti su Il Post ha analizzato questo efferato crimine, che getta ombre sulla piattaforma, molto fortunata e molto celebrata dai giornali del mondo, su tutti il New York Times. La sventurata oste ha raccontato l’esperienza sul suo blog mettendo a rischio la reputazione di Airbnb, accusando i gestori del sito di non averla tutelata a sufficienza, generando un vuoto di responsabilità.

In sostanza, la ragazza accusa il sito web di non aver avuto abbastanza lungimiranza sulle intenzioni criminogene del suo guest; secondo lei un servizio con migliaia di iscritti e di soluzioni tra le più particolari e più economiche ai quattro angoli del mondo dovrebbe verificare l’identità di chi ospita e di chi lo utilizza.

A livello digitale, Airbnb lo fa: ogni account prima di poter sfogliare il grande menù di case in ogni provincia del mondo civilizzato e non, chiede ai propri iscritti di scannerizzare un documento d’identità e connettere il profilo a un conto bancario che sarà il rifornimento per le operazioni di pagamento, verifica indirizzo mail e profilo facebook. Queste garanzie dovrebbero essere sufficienti, perché il vuoto, legislativo e di verifica, è il confine tra il digitale e il reale. In questa zona ibrida stanno le contraddizioni del web, l’impossibilità per un’identità social di riflettere l’interezza umana, le pulsioni e le debolezze.

Personalmente ritengo Airbnb non responsabile. Il "simpatico" individuo che ha messo a ferro e fuoco la casa che generosamente gli era stata aperta avrebbe fatto lo stesso con un albergo. E indipendentemente dal fatto di essere iscritto alla piattaforma, è un bulletto che ha compiuto un crimine. A giudicarlo non sarà una corte del tribunale della città digitale, ma un tribunale pubblico. Il suo crimine non è stato compiuto online, ma nel mondo reale, ai danni di una casa all’interno di un edificio pubblico. Airbnb, avendo verificato la sua identità, l’ha fornita alla polizia che ha potuto arrestarlo.

 

Ma questo non è il punto.

Sulla piattaforma Airbnb interagiscono due gruppi di individui: il primo è un insieme di viaggiatori, frequent flyers, studenti, professionisti, insomma individui che spesso sono alla ricerca di soluzioni abitative lontano da casa; gli altri sono proprietari di alloggi o  affittuari orfani di coinquilini che decidono di aprire la propria casa al mondo. Certo non gratis, ma credo che il plusvalore di questa nuova filosofia di condivisione dello spazio abitato possa sopportare il rischio di mettersi in casa un bulletto, così come, allo stesso modo, salendo su un tram si rischia di essere scippati.

Aprire le porte della propria casa ai milioni di persone che nella vita, per dovere e piacere, viaggiano significa aprire il proprio spazio al mondo, diventare ambasciatori della propria città, consigliare itinerari storici, i musei e i palazzi, i ristoranti e gli spazi verdi, gli eventi culturali e i luoghi del divertimento. E allo stesso tempo, chi è ospitato entra nell’universo intimo del suo ospite, condivide i sapori della sua cucina, i libri e la musica dei suoi scaffali, gli arredamenti, l’intimità di un universo umano piuttosto che la freddezza di un hotel, mero non-luogo in cui riposare le membra, uguale di quartiere in quartiere, di città in città.

 

La condivisione è il principio fondante della nuova società intelligente e digitale, credo che il grande catalogo Airbnb sia un manuale in cui sfogliare spazi grazie a cui è possibile relazionarsi, confrontarsi, vivere con gli occhi degli altri.

E pazienza se non si può mai sapere chi ci si mette in casa: in fondo il viaggio è ricerca inconscia dell’imprevisto e il male è parte della natura umana. Online e offline.

 

Pietro Martinetti - Mailander

Twitter @PietroMartinett

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