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Uno studio del Journal of Travel Research propone un “modello della felicità” dei vacanzieri. Le due settimane prima della partenza sono il momento peggiore, ma dopo 8 giorni di vacanza felice il malumore torna a crescere

 

La vacanza fa l’uomo felice? Dipende, dalla vacanza e dal viaggiatore. Per far sì che un periodo di vacanza lontani da casa sia davvero benefico per il corpo e per lo spirito, infatti, bisogna tenere in considerazione numerose variabili: preferenze personali, idiosincrasie, differenze di gusti in base all’età e al genere, e poi i fattori esterni, come il meteo.

Il “Journal of Travel Research” ha recentemente pubblicato una ricerca che si propone di fornire un modello della “curva della felicità” riguardante le vacanze, una curva disegnata sulla base dei questionari di benessere soggettivo compilati da centinaia di turisti da tutto il mondo. In base al modello proposto dal Journal of Travel Research (e rilanciato dal Corriere della Sera), le ultime due settimane prima della partenza sono quelle in cui si sta peggio: nonostante l’avvicinarsi del riposo dovrebbe essere un’iniezione di buon umore, lo stress lavorativo raggiunge il picco proprio nelle due settimane precedenti l’inizio della vacanza.

Una volta superate queste due settimane, secondo il modello della rivista britannica la curva della felicità segue questo percorso: il primo giorno di ferie ci si sente stanchi e di malumore, poi dal secondo dall’ottavo giorno il benessere fisico e mentale cresce progressivamente... per poi crollare. Dal nono giorno, infatti, il vacanziere medio inizia a fare il conto dei giorni che mancano al rientro, facendo risalire stress e ansia e abbassando il potere benefico della vacanza, soprattutto se è trascorsa in maniera “monocorde”, priva cioè di esperienze e momenti memorabili in grado di mantenere alto il livello di emozione. Una vacanza priva di tali esperienze (come il classico soggiorno relax tra casa e spiaggia), secondo la ricerca, fa sì che al rientro il viaggiatore ricordi maggiormente la fase finale della vacanza, ovvero quella emotivamente peggiore.

Questo andamento definibile “a campana” dello stato emotivo del vacanziere è particolarmente accentuato in caso di vacanze di durata compresa tra gli 8 e i 13 giorni; le ferie più lunghe hanno un modello con fasi meno ripide, mentre nelle vacanze di breve durata non si avvertirebbero, in base alla ricerca, particolari sbalzi di umore.

Per rendere il più duraturo possibile l’effetto benefico di una vacanza, secondo l’articolo è necessario che per ogni emozione negativa se ne vivano tre positive, ma purtroppo il rapporto tra i due estremi è normalmente sotto quella soglia, provocando quindi il dissipamento del buonumore accumulato durante le ferie. Buonumore che col passare del tempo tornerà grazie a un effetto nostalgia in grado di trasformare i momenti brutti in momenti belli, e che comunque è – seppur in misura inferiore rispetto alle aspettative – più presente in chi le vacanze, almeno, le fa.

 

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